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antica lavorazione del sale
antica lavorazione del sale

L’odierna salina di Margherita di Savoia è stata fondata oltre tre secoli prima di Cristo, e sin da allora esportava i suoi prodotti verso i più remoti lidi d’oriente.

Al centro di una delle principali arterie commerciali dell’epoca, non casualmente ribattezzata Via Salaria.

In età romana il sito venne chiamato salinae Cannarum, prendendo il nome dalla vicina località di Canne. Un’origine così antica della salina presuppone, ovviamente, l’esistenza di un primo nucleo abitativo stanziale dalle origini altrettanto remote.

Nel 318 a.C. troviamo la località designata per la prima volta sotto la de di Salìnis (vedi la Tabula Peutinger, depositata presso la Biblioteca Imperiale di Vienna).

Il disfacimento dell’impero romano, l’influenza delle vicine civiltà e la scomparsa di antichi siti quali Arpi, Salapia, Sipontum, Canne e Canusium fecero da preludio ad una fase particolarmente caotica per l’intera area geografica, e per lungo tempo della località non vi fu menzione nei documenti storici del tempo, sebbene proseguisse il suo sviluppo attorno alla salina.

Con il diffondersi del Cristianesimo la località assunse il nome di Sancta Maria de’ Salìnis: il nome compare per la prima volta nel 1105, allorquando il Conte Goffredo Normanno donò al Vescovo della Diocesi di Canne il casale di Sancta Maria de’ Salinis, il cui territorio si estendeva lungo il litorale dalla foce del fiume Ofanto sino alla contrada San Nicolao de Petra (l’odierna Torre Pietra).

Numerosi documenti storici fanno presumere che il Vescovo che ricevette tale donazione fosse Rogerius, ossia San Ruggiero, patrono di Barletta. Il Vescovo Ioannes, successore di Rogerius, cedette successivamente il territorio ai Templari di Barletta.

Con l’estinzione della Diocesi di Canne, la chiesa di Sancta Maria de’ Salinis fu aggregata alla Diocesi di Trani – cui tuttora appartiene – come risulta dalla bolla papale di Celestino III, datata 1192.

Il dominio dei Templari sulla salina cessò allorquando le Costituzioni Melfitane di Federico II di Svevia imposero nuovi balzelli. Sotto il casato svevo, durato 72 anni, l’intero territorio conobbe un periodo di particolare fioritura; ma le cose cominciarono rapidamente a declinare con l’avvento della dinastia angioina.

A causa della sua forte esposizione debitoria nei confronti dei banchieri fiorentini, Re Carlo I d’Angiò fu costretto a cedere i diritti sulle saline, che rappresentavano un notevole sbocco commerciali per i traffici di sale verso oriente. Nel frattempo, più esattamente tra la fine del XIII Secolo e l’inizio del XIV, il casale di Sancta Maria de’ Salinis – che per la sua fiorente industria del sale aveva resistito a tutte le devastazioni e guerre combattutesi attorno ad esso – venne falcidiato da una grave epidemia di malaria. I pochi superstiti si rassegnarono ad abbandonare la terra natia e si rifugiarono a Barletta.

Passarono alcuni secoli prima che l’autorità si decidesse a bonificare la zona: dell’antico casale non erano rimaste che poche case, una taverna, una torre a difesa della costa e qualche pagliaio, antica abitazione dei salinari. Dopo l’emigrazione a Barletta dei sopravvissuti dell’epidemia di malaria, quel che restava dell’antico casale mutò ancora una volta nome, venendo denominato Saline di Barletta.

Agli albori del ‘500 ebbe inizio la pratica dell’arrendamento (dallo spagnolo arrendamiento = affitto): quando la Regia Corte necessitava di denaro fittava porzioni di territorio e relative rendite ai privati.

Così, alle intollerabili vessazioni degli Spagnoli, si aggiunse col tempo lo strapotere degli arrendatori, che si ritennero sempre più i padroni assoluti delle saline, sulle quali speculavano ingenti risorse. Il malcontento che esplose nel Regno delle Due Sicilie durante il 1647 non valse ad arginare le rapaci intenzioni degli arrendatori, che continuarono a gestire le saline a loro piacimento ancora per lunghissimi anni.

Verso la fine del ‘600 i discendenti dei primi emigranti salinari, scappati a Barletta per sfuggire all’epidemia di malaria, cominciarono poco per volta a far ritorno nella terra dei loro avi: il litorale riprese dunque – dapprima lentamente, poi in maniera sempre più rapida – a pullulare ancora dei tradizionali pagghjare. A metà del ‘700 il Re Carlo III di Borbone, salendo al trono di Napoli, chiese al celebre architetto Luigi Vanvitelli (autore, tra l’altro, della celeberrima Reggia di Caserta) di progettare un impianto più moderno e funzionale per l’estrazione e la lavorazione del sale.

Ciò non cambiò le sorti della salina da un punto di vista economico: la proprietà restava nelle mani di pochi e la tensione che si avvertita era fortissima; la società feudale aveva cristallizzato ogni fenomeno di crescita sociale: a fronte della ricchezza smisurata di nobili e clero, il popolo salinaro viveva nella più assoluta povertà. E nel 1805, quando le pressioni tributarie superarono ogni limite, la situazione parve precipitare.

Nel 1813 Re Gioacchino Murat promulgò la prima legge organica sull’amministrazione autonoma delle manifatture dei sali e tabacchi: le Saline di Barletta (che nel 1799 erano passate sotto la giurisdizione del distretto di Cerignola ed inglobate nel territorio di Casale Trinità, l’odierna Trinitapoli) videro riconosciuta così, per la prima volta, un’amministrazione municipale separata. Il Direttore della salina sarebbe stato anche Sindaco: il primo in assoluto fu Vincenzo Pecorari.

Travolto dal repentino tramonto di Napoleone Bonaparte, anche Gioacchino Murat andò incontro ad un triste destino (venne fucilato nel 1815) ed i processi evolutivi nell’amministrazione del territorio subirono un brusco stop. Nonostante le maggiori garanzie di legge, infatti, il fabbisogno economico dei lavoratori della salina non poteva essere soddisfatto dal magro stipendio, e così si svilupparono la coltivazione intensiva degli arenili e l’industria della pesca, antica risorsa del luogo. Dal punto di vista amministrativo, per tutta la fase antecedente all’Unità d’Italia e fino al 1861, il paese venne gestito da un Decurionato. Nel 1879 il nome della località venne definitivamente mutato in Margherita di Savoia, in onore della prima Regina d’Italia.

Agli inizi del XX Secolo Margherita fu flagellata da gravi epidemie: tifo esantematico nel 1902, morbillo e colera nel 1910, la “spagnola” subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Ciononostante il paese fece registrare in quegli anni un notevole incremento demografico, che iniziò ad arrestarsi verso la fine degli anni Venti, quando si contarono i primi emigranti che cercavano fortuna oltreoceano.

Il fenomeno si intensificò al termine del secondo conflitto mondiale, quando, in un’Italia in ginocchio dopo i disastri della guerra, furono in tanti, specialmente dal Meridione, a trasferirsi verso le grandi città del Nord.

 

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